28 novembre 2006

alcuni articoli che fanno pensare....

DA REPUBBLICA AFFARI&FINANZA di lunedi 27 novembre 2006

La signora che comunica la città
La signora che ha reinventato l’immagine di Torino, che ormai gira il mondo per ritirare premi, che ha appena scritto un libro («Comunicare la città», Bruno Mondadori) su quello che è diventato un caso che si studia nelle università, ha magnifici, mobili, occhi azzurri e parla invece con una lentezza e un accento torinese quasi esasperanti. Anna Martina, 55 anni, ride davvero: «Sono dotata di un autocontrollo fortissimo, non riesco a parlare più veloce o a cambiare il tono nemmeno nei momenti peggiori». E in questi anni, incaricata di accompagnare la trasformazione di una città industriale, grigia e vecchia, di momenti difficili ne ha passati tanti davvero: nel ‘98 l’allora sindaco Castellani ha intuito che i mille cantieri che avrebbero sconvolto l’ordinata Torino, la rivoluzione che ne avrebbe cambiato l’anima, le fabbriche destinate a trasformarsi da pezzi di archeologia industriale in poli culturali, avrebbero dovuto trovare nei cittadini degli alleati solidali e consapevoli, non dei nemici e nemmeno delle vittime.«C’era spiega Anna da far partecipare i torinesi, coinvolgerli nel grande cambiamento». I sindaci sono cambiati, ma da allora Anna è lì, insostituibile direttore della comunicazione strategica e della promozione d’immagine. Quello interno è stato solo uno dei due fronti sui quali ha combattuto: l’altro era quello esterno, gli interlocutori coloro che stavano fuori e che nella città dei Savoia vedevano grigiore e noia, un luogo da tralasciare senza alcun ripianto. Ora, invece, e le Olimpiadi ne sono state il volano, è come se Torino fosse risorta: austera ma bellissima; chiusa ma aperta a mille iniziative. «E ora il turismo trionfa è diventata la seconda gamba della città. Le Olimpiadi non sono state un traguardo ma un punto di svolta». La sua storia di comunicatore comincia nel 1984 in uno dei più bei gruppi italiani, il torinese GFT e i suoi maestri sono due consulenti che ricorda come eccezionali, Aldo Chiappe e Marcella Verini. Il GFT aveva un fatturato di 1.500 miliardi, 30 società distribuite dall’Italia al Canada, dal Messico alla Cina. Produceva e distribuiva in tutto il mondo il meglio del made in Italy. Quando Anna arriva al GFT non vuole più essere la ragazza timida e introversa che è stata fino a quel momento, incapace di immaginare per se stessa un orizzonte diverso da una cattedra. La sua città di nascita è Pescara, ma a sei mesi diventata torinese. Suo padre, pittore, aveva vissuto per un breve periodo in via Margutta, a Roma, e poi era tornato con la moglie (che aveva partorito in Abruzzo) nella città d’origine. A Anna piace dire che ha «la testa al nord e il cuore al sud», perché da parte materna ci sono origini pugliesi e siciliane.Studia al classico Gioberti e a 17 anni si fidanza con l’uomo che diventerà suo marito. Si laurea in Lettere, si immagina a fare l’insegnante. Ha urgenza di diventare autonoma, pensa che guadagnarsi da vivere sia un dovere da non rinviare. Il primo lavoro, nel ‘74, è segretaria all’Istituto Gramsci che sta nascendo sotto la direzione di Bobbio. Dieci anni dopo decide il grande passo e accetta di entrare al GFT per diventare il direttore della comunicazione. Ha dei ricordi indelebili: «Mio figlio racconta aveva appena compiuto un anno: capivo che quella per me sarebbe stata un’opportunità unica ma certo avrei preso una strada complicata. Ho sofferto molto, e mio figlio anche. Ero sempre in viaggio, per fortuna mio marito è stato molto solidale». Dopo altri dieci anni Anna ha ormai una professionalità e una personalità fortissime e diventa l’amministratore delegato di Opera, una società specializzata nella comunicazione del territorio. Fino a quando Torino, la sua città, decide di svegliarsi e pensa a lei, che un profilo più giusto non può avere: torinese di testa, meridionale di cuore.


La società che ha brevettato lo stadio di calcio ecosostenibile
costruzioni & ambiente
Hanno studiato per tre anni più di 70 stadi in giro per il mondo, li hanno"scomposti" pezzo a pezzo e ne hanno fatto una sintesi. La chiave costruttiva è però nuova: uno stadio di bioedilizia, ecosostenibile, meno caro e molto più veloce da costruire. Il brevetto arriva dal Friuli, da una famiglia di costruttori tradizionali che dal 1913 "tira su" case nell’estremo Nordest d’Italia, e che dall’ormai lontano 1985 si è convertita alla filosofia bioedile, "in tempi non sospetti", dice con orgoglio Loris Clocchiatti, amministratore delegato del gruppo Polo – Le Ville Plus. Che ha un portafoglio ordini di circa 20 milioni. Il grande salto, anche grazie a partnership ancora tenute riservate, è però nel Bioscience Building System, il brevetto sugli stadi: "Abbiamo industrializzato il sistema costruttivo, il che significa un risparmio di un anno e mezzo sui tempi dei lavori, tradotto in costi inferiori anche del 30% rispetto agli stadi tradizionali. La soluzione è però pensata anche per il rinnovo ecosostenibile di quelli già esistenti". Una grande novità è la possibilità di rendere l’impianto totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico rispetto alla città che lo ospita. Anzi, con i sistemi integrati a cogenerazione termica e elettrica, i pannelli solari e il recupero dell’acqua piovana promette di cedere energia ai quartieri vicini. Il grande ricorso alla domotica, poi, dovrebbe incidere non poco nella gestione del personale. Per il resto la filosofia è un misto tra lo stadio all’inglese, fruibile tutta la settimana con i suoi spazi e sottoservizi, e una scatola tecnologica a basso impatto per convincere anche le amministrazioni più recalcitranti.Il progetto sembra funzionare, ed ha già mosso l’interesse internazionale. Uno stadio è pronto a partire in Italia, un altro è già commissionato nell’Europa dell’Est. Sono stadi da 2530 mila posti, dal costo di circa 25 milioni l’uno. Ma la capacità del brevetto copre impianti dai 5 mila ai 100 mila spettatori. La scommessa, giocata "alla friulana" con i piedi per terra, potrebbe essere vinta proprio con la carta degli spazi da utilizzare per scopi che vanno oltre il calcio, a cominciare dalle attività commerciali. Un’opera come quelle già pronte ad entrare in cantiere, infatti, dispone di circa 22 mila metri quadrati coperti sotto le gradinate, che potrebbero valere oro. Il progetto, assicura Clocchiatti, è unico in Italia ed ha ben pochi concorrenti nel mondo: "Di solito gli studi per questo genere di edifici sono realizzati dalle università o dai governi che si accollano i costi. Stadium Plus è invece un’iniziativa frutto dei nostri investimenti privati. Abbiamo delegazioni dalla Cina, Russia e Sudafrica che stanno arrivando appositamente in questi giorni. Gli stessi organi direttivi del Coni, oltre a società di serie A e B, hanno già dimostrato il loro interesse".

Quando le città diventano un laboratorio per la riconversione alle nuove tecnologie
Le città hanno un ciclo di vita. Possono nascere in funzione di un’economia rurale, svilupparsi con l’industria e quindi declinare a seguito della terziarizzazione della produzione industriale. Le città che conservano il loro successo di generazione in generazione sono quelle capaci di sfruttare i nuovi media e le tecnologie per rinnovarsi, reinventarsi e adattarsi ai nuovi contesti. Ci sono due metropoli americane che partendo dalla stessa situazione di città industriali sono uscite in modo diverso da una esperienza di industrializzazione spinta. Una è Pittsburgh, città storica dell’acciaio, che quaranta anni fa con la crisi dell’industria siderurgica si era degradata, per poi rinascere come culla del terziario avanzato, con ad emblema la Carnegie Mellon, università di punta nell’Ict. L’altra è Detroit, che dopo essere stata il cuore dell’industria automobilistica non è più riuscita a trovare un modello di crescita: nella città ci sono zone di decadenza, con un preoccupante declino demografico. Il problema non è nuovo. Basti pensare al porto di Messina che fiorì durante le crociate (era da lì che partivano le navi con gli uomini e le merci per la guerra agli infedeli) o a Venezia, che vide tracollare i suoi traffici (spostati su Liverpool) dopo la scoperta dell’America. "Perché una città possa evolversi e andare avanti non bastano strutture e capitali – scrive Giuliano Amato nel libro "La città nell’era della conoscenza e dell’innovazione" (Franco Angeli, 2006), che include contributi dei più qualificati studiosi ed esperti nel campo ma occorrono almeno tre intangibles: a) una visione di un futuro diverso; b) la capacità di interagire, mettendo in rete tutti gli attori rilevanti; c) una forte leadership che consenta di evitare che l’eccesso di networking determini una paralisi decisionale". In questi ultimi tempi il dibattito sulle grandi città è sempre più intenso, e non solo in Italia. Ci si domanda fino a che punto centri come Milano, Roma o Torino, che ultimamente hanno manifestato un nuovo dinamismo, siano effettivamente capaci di assecondare la globalizzazione, puntando sui fattori immateriali, come le risorse umane qualificate, le attività di ricerca svolte da centri di eccellenza, i processi di innovazione, lo sviluppo di realtà imprenditoriali ad alto contenuto di sapere e creatività, il miglioramento della qualità della vita e il potenziamento dell’offerta culturale. "In un certo senso la città è l’iceberg della nuova economia basata sulla conoscenza, il luogo che è selettivamente portato a svolgere il ruolo di motore della crescita e dell’innovazione, in quanto laboratorio dove si stanno sperimentando i nuovi meccanismi di produzione della ricchezza", spiega Riccardo Varaldo, Presidente della Scuola Superiore Sant’Anna, l’istituto universitario che ha promosso le riflessioni sul tema della nuova città. Chi perde la sfida rischia il declino: il periodo critico che sta vivendo Napoli, per esempio, può essere interpretato come un preoccupante campanello d’allarme.

‘Ripensare’ le Fiere
Va bene la competizione, ma quando diventa controproducente è meglio mettersi intorno a un tavolo a ragionare. E’ quanto si propone il 1° Forum nazionale della filiera fieristica organizzato a Milano dall’Asal (l’associazione delle aziende che allestiscono le fiere) insieme a FederlegnoArredo. «E’ un invito ragionare per gli addetti ai lavori. Stiamo assistendo a grandi piani di ampliamento da parte degli enti fieristici», dice Pierpaolo Vaj, presidente di Asal. «Ci chiediamo se si sta seguendo una logica industriale o l’appagamento del gigantismo di operatori e istituzioni locali». Invece di investire per farsi concorrenza, le fiere made in Italy dovrebbero lavorare insieme per battere l’agguerrito sistema estero. Mercoledì intorno al tavolo milanese ci saranno Claudio Artusi (amministratore delegato Fiera Milano), Tito Boeri (docente alla Bocconi), Olivier Ginon (presidente Gl Events e azionista di Padova Fiere), Michele Porcelli (amministratore delegato Bologna Fiere), Marco Sogaro (amministratore delegato Fiera Roma). A introdurre i lavori sarà Roberto Formigoni e in rappresentanza del Palazzo è atteso il ministro dello sviluppo economico Pier Luigi Bersani. Il forum è la prima tappa di un progetto per la promozione e la valorizzazione del sistema fieristico dell’Asal.

I beni culturali, una risorsa da gestire in reteInternet come via della cultura: una promessa che circola da sempre, un terreno d’azione fertile e ancora da esplorare per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Molto resta ancora da fare, sulla scia dei sentieri finora tracciati; dove non fanno testo soltanto i grandi poli museali, ma soprattutto le iniziative locali che dal basso riescono a delineare, passo dopo passo, le maglie di una rete. Beni culturali in Rete, patrimoni delle culture d’Europa è, appunto, il titolo di un’iniziativa svoltasi nei giorni scorsi a Trieste, cui hanno partecipato numerose personalità delle istituzioni, del mondo accademico e di prestigiosi centri d’arte. Un appuntamento in cui si è discusso di nuove tecnologie e multimedialità come strumento prioritario per la gestione, fruizione e valorizzazione del patrimonio artistico, in un’ottica di sviluppo del territorio. Tre le sezioni tematiche del convegno, promosso Forum PA, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Banca Popolare FriulAdria e Comitato Promotore Progetto Patriarcato di Aquileia: si è parlato di tecnologie per la gestione dei beni culturali, di gestione e progettazione dell’offerta culturale, di sviluppo economico e dei beni culturali.Il dibattito ha preso le mosse dall’impegno della Banca Popolare FriulAdria: la banca del territorio, ora di proprietà di Credit Agricole, ha creato un ricco catalogo con tutti i principali musei della regione Friuli, elaborando una filosofia "multimediale" per presentare i beni culturali e integrarli nelle realtà locali. La premessa è che mettere i musei in rete, fornirli di strumenti e di guide digitali, che possano far viaggiare il visitatore dall’opera fino al suo contesto territoriale, non significa soltanto rendere più leggibile l’opera d’arte stessa, ma finisce con lo sviluppare nuova domanda culturale, promovendo la voglia di vedere ancora.«Il nostro programma mira a riflettere su natura e ruolo dell'opera d'arte, nella duplice prospettiva di valorizzare il patrimonio artistico regionale e di contribuire allo sviluppo dell'economia dell'area in cui operiamo», ha detto nel suo intervento Angelo Sette, presidente della Banca Popolare FriulAdria, che ha poi aggiunto: «Fotografare il passato non ci è parso tuttavia sufficiente, è in questo senso che va compreso il nostro sforzo di intendere quali siano le relazioni che si devono stabilire tra i depositi della memoria e i nuovi linguaggi della contemporaneità».Gli ha fatto eco Carlo Mochi Sismondi, direttore generale del Forum PA, sottolineando come il patrimonio storico, archivistico, monumentale e museale di un territorio sia sicuramente un bene da preservare e tutelare: «Ma esso è anche, sempre più, un asset strategico da valorizzare nel quadro delle strategie di sviluppo economico e territoriale», ha affermato. Mochi si è poi soffermato sulla parolachiave del convegno: Rete. «Mettere in rete il patrimonio culturale e museale – ha detto va oggi al di là della semplice messa on line del catalogo delle opere. La "Rete" significa soprattutto networking, integrazione dell'offerta, sinergie tra istituzioni, condivisione dei patrimoni culturali». E di fronte a risorse sempre più difficili da reperire, il direttore del Forum PA ha osservato come sia cruciale un’efficace politica di integrazione pubblicoprivato: «Nessuna amministrazione locale o regionale è in grado di operare da sola, ma deve essere regista di un’azione congiunta di più attori presenti sul territorio», ha concluso.L’amministrazione regionale, rappresentata al convegno dal presidente Riccardo Illy, sembra essere cosciente delle sfide delineate. Dopo aver ricordato il suo impegno nella diffusione delle nuove tecnologie (una legge per l'alfabetizzazione informatica, la creazione di Mercurio Spa per il completamento della rete di fibra ottica in Friuli, l'acquisizione della società Insiel), Illy si è soffermato sull’esigenza di "utilizzare" il patrimonio artistico, archeologico, architettonico.«Un'utilizzazione per favorire l'acculturamento delle nostre collettività ha detto in grado di alimentare la particolare inclinazione dell'Italia verso il contenuto estetico dei propri beni e dei prodotti, e dunque per incrementare lo sviluppo economico nazionale». In questa prospettiva, stringente deve essere la relazione tra beni culturali e turismo, ovvero «quel comparto produttivo ha proseguito Illy che oggi rappresenta la prima voce economica mondiale, superiore in fatturato a tutti gli altri comparti produttivi: maggiore turismo significa poi maggiori entrate finanziarie, che potrebbero essere a disposizione per conservare, migliorare ed arricchire il nostro patrimonio artistico». Illy ha in conclusione evocato, come imprescindibile strumento di costruzione, il «circuito virtuoso» al quale non possono mancare di contribuire, accanto allo Stato, Regioni ed Enti locali.

Ricerca e innovazione, così Prato si rimette in corsa
Passa attraverso il fashion, la creatività, l’innovazione e la flessibilità il "rinascimento" di Prato. Dopo almeno cinque anni di crisi, dovuto alla concorrenza dei filati e tessuti asiatici e alla congiuntura sfavorevole, le aziende pratesi stanno rispondendo alla grande. Del resto i tanto sbandierati pregi dello sviluppo, della ricerca e dell’innovazione, loro ce li hanno nel Dna. Non a caso il distretto toscano agli inizi della sua avventura imprenditoriale era conosciuto in tutto il mondo come la "città degli stracci". «I nostri pionieri — racconta oggi il responsabile dell’ufficio studi dell’Unione industriale locale, Enrico Mongatti — riciclando e nobilitando carta, stracci e materiali vari, hanno avuto la capacità di produrre tessuti lanieri che in molti casi hanno battuto i concorrenti inglesi». Se fino agli anni Settanta del ‘900 lo sviluppo impetuoso del distretto si è fondato sui grandi volumi a prezzi bassi, negli anni Ottanta la creatività pratese ha giocato la carta della diversificazione puntando sulla moda. Filati e tessuti trendy che le grandi griffe e marchi internazionali venivano a comprare in gran quantità. Ma per sua stessa definizione, la moda è volubile, cambia continuamente. E con lei anche i clienti. Un tempo a servirsi della produzione made in Prato erano, appunto, i re delle passerelle che facevano due collezioni all’anno: primavera/estate, autunno/inverno. Oggi sul mercato sono comparsi grandi gruppi della distribuzione (i soliti noti come Zara, H&M ecc..) che hanno scompaginato le carte. Rinnovo delle collezioni una volta al mese, se non addirittura ogni quindici giorni; riordini a tambur battente e vetrine sempre nuove. Un modo di procedere che ha costretto anche i blasonati marchi del fashion a moltiplicare le proprie collezioni. Una rivoluzione che fatalmente ha coinvolto i fornitori della materia prima: i produttori di filati e tessuti. «Prato — ricorda Carlo Longo, presidente dell’Unione industriale locale — è fatta di piccole realtà a volte con cinque sei addetti, che rappresentano ciascuna una tesserina della filiera produttiva. Chi si occupa della filatura, chi della tessitura e via via si arriva alla tintoria e il finissaggio». E’ appena il caso di dire che questa frammentazione finisce per allungare i tempi. Ecco che allora i nostri pratesi si stanno attrezzando. Fanno aggregazioni, si mettono insieme per soddisfare i clienti nei tempi e modi richiesti. C’è anche chi, come il Gruppo Lineapiù, che ha deciso di fare una partnership con protagonisti dell’altrettanto storico distretto biellese. Un paio di settimane fa il presidente Giuliano Coppini ha annunciato ufficialmente di aver aperto il capitale della sua azienda a un pool di imprenditori che insieme ai pratesi Alberto Pecci, Paolo Bini, Nando Albini, Gincarlo Mazzi e Dalila Mazzi, comprende un manipolo di biellesi tra cui Marco Schneider e la tessitura Botto Paola.C’è anche chi, come Riccardo Matteini del Gruppo Colle si è aggregato in tempi non sospetti. Come racconta scherzosamente: «quando Berta filava, abbiamo fuso le attività di quattro stabilimenti di proprietà di tre aziende diverse. Accorpandoci abbiamo perso il 5 per cento degli addetti. Grazie alle economie di scala e allo sviluppo della produzione, due anni dopo li abbiamo assunti. Con gli interessi: prima dell’operazione davamo lavoro a 85 persone, oggi a 140. E il gruppo ha visto crescere i fatturati e le esportazioni in tutto il mondo». Anche Luigi Banci, che guida il Lanificio Pontetorto, di questi tempi non fa aggregazioni per il semplice fatto che la sua azienda (fondata nel 1952) già sin dall’inizio si è data una struttura cosiddetta verticalizzata. In altre parole al suo interno controlla le varie fasi della produzione, finissaggio compreso. Quello più delicato perché come dice lo stesso Banci «è il passaggio in cui si applicano i segreti, i procedimenti tecnici che fanno la differenza nella nobilitazione del lusso. Per dare quella mano diversa che altri concorrenti non hanno». Un mestiere che sa fare bene visto che il Lanificio Pontetorto è diventato leader europeo nella produzione del Pile (materiale che si usa per l’abbigliamento sportivo e per le felpe in genere), e a suon di ricerca e innovazione sforna tessuti tecnici per un totale di otto milioni di metri di tessuto all’anno, e dà ai suoi clienti 700 nuovi articoli a stagione. Ma aggregarsi non basta. E’ solo uno dei tanti ingredienti della ricetta che sta facendo rinascere Prato. Gli altri si chiamano: capacità di fare prodotti unici, pregiati, sofisticati. Prodotti che i concorrenti che li sfidano sul fronte dei "basici" sfornati in gran quantità, non sono in grado di creare. Perché non hanno nel loro Dna il gusto e la creatività tricolore. Del resto è quello che stanno facendo anche i produttori di tutta la catena fashion made in Italy che detta legge nel lusso mondiale. E proprio a Prato che si sta reinventando come distretto della moda donna, sono nati marchi dell’abbigliamento (che usano i tessuti locali) che si sono imposti sulle passerelle della moda. Parliamo di Patrizia Pepe, Sash, Sonia Fortuna, Fabio Castellani.

Come sarà la nuova vita della vecchia fabbrica
Passa per la cultura, i giovani e la tecnologia la rivoluzione di quel quartiere di Milano che è la Bovisa. Lo storico spazio industriale, dopo alterne fortune, sta per rinascere a nuova vita. La zona, un tempo simbolo dello sviluppo milanese, aveva da tempo perso la propria identità e ogni contatto sociale con la città. Ma si volta pagina. Diversi i protagonisti del cambiamento, tra i quali anche il Conservatorio di Milano che lì trasferirà le attività che riguardano la musica contemporanea ed elettronica. «Sulle aree prospicienti la Triennale — spiega Alessandro Pasquarelli, amministratore delegato di EuroMilano, società di sviluppo immobiliare — stiamo realizzando altri importanti progetti di recupero e riqualificazione urbana, che faranno del quartiere il nuovo polo milanese per la ricerca scientifica e l’innovazione come l’ampliamento del Politecnico di Milano, il nuovo istituto Mario Negri e gli studi televisivi di Telelombardia». Insomma, il programma è ambizioso. «L’idea è di creare in Bovisa il più grande polo tecnologico del Sud Europa — conclude Pasquarelli, — un distretto d’eccellenza in cui studieranno e lavoreranno studenti, ricercatori e manager da tutto il mondo».

23 novembre 2006

protagonisti: il giornalista Lolli, l'assessore Modonesi

Riporto l'articolo di Stefano.
POSSO ESPRIMERE QUALCHE DUBBIO?
PRIMA DI ESTERNARLI PROVO A PARLARNE CON ALDO.
PERO' DI PRIMO ACCHITO..............



Via da tutto il centro i distributori di depliantIl Resto del Carlino del 23/11/2006 ed. FERRARA p. VIII
IL DIVIETO Ordine della giunta: «Leso il decoro pubblico»Colpo di spugna sulla 'libera stampa'. Il Comune ha deciso il divieto, per i giornalini a distribuzione gratuita (la cosiddetta free press), ad essere diffusi attraverso gli espositori collocati, a centinaia, nelle strade e nelle piazze del centro storico. Ufficialmente il motivo del provvedimento, assunto dall'assessore alle Attività produttive Aldo Modonesi, è quello del... decoro.«Da tempo si infittivano le segnalazioni, sia da parte dei cittadini che delle Circoscrizioni - afferma Modonesi -, sul fatto che questi giornalini e depliant, che pubblicizzano in particolare attività immobiliari e commerciali, finivano col trasformarsi in carta straccia, abbandonati lungo le strade e sui marciapiedi, ingorgando i cestini dei rifiuti e trasformandosi nei giorni di pioggia in una sorta di poltiglia». Spesso oggetto anche di vandalismi, molti distributori sono stati in queste settimane rovesciati o svuotati apposta, contribuendo a nuocere ancor più all'immagine ed alla pulizia del centro cittadino: «Per questo motivo abbiamo deciso il diniego dell'autorizzazione a diffondere la free press sul suolo pubblico - spiega Modonesi -; gli esercenti di queste attività potranno ovviamente continuare, ma cambiando radicalmente le modalità di distribuzione». Tornando magari al 'porta a porta', tentando di riconquistare le buchette dei ferraresi (sempre più restii peraltro ad accettare l'accumulo di depliant e volantini pubblicitari), oppure stringendo accordi con negozi e bar per ricoverare all'interno dei locali quegli espositori che, presto, saranno definitivamente banditi. Con l'obbligo, per i privati, di rimuoverli.Oltre che per un fatto puramente... estetico, tuttavia, la presa di posizione della giunta (in altre città non risulta un analogo provvedimento) si lega al clamoroso boom di richieste presentate negli ultimi tempi: «Siamo arrivati addirittura a 600 istanze per la collocazione degli espositori - spiega Modonesi -, un fatto assolutamente incredibile se si considera che le 'testate' attive nell'editoria immobiliare sono 4-5, e che poche altre si caratterizzano nel settore commerciale». Eppure di settimana in settimana il volume delle copie e la quantità di carta prima inserita negli espositori e poi spesso trasformata in rifiuti, stava crescendo in modo esponenziale. «Abbiamo chiesto anche un parere alla Commissione Qualità (l'organismo consultivo comunale che si occupa degli aspetti di tutela del decoro, ndr) - afferma l'assessore -, a questo punto abbiamo deciso di intervenire». Non si tratta, sorride Modonesi, «di un bavaglio alla free press, la 'libera stampa', ma di un argine all'invasione di cartacce in centro».s. l.

...e noi che pensiamo sempre di non farlo....

San Silvestro in piazza per i ravennatiCorriere di Romagna del 23/11/2006
Musica, spumante e piadina nel cuore della cittàRAVENNA. La fine 2006 segnerà una svolta per il modo di vivere il centro storico durante le feste natalizie. La novità più grande, e molto probabilmente anche la più attesa, è la festa di San Silvestro in piazza del Popolo. Vin brulè, piadina, spumante, panettone e pandoro saranno offerti a coloro che sceglieranno di trascorrere la notte di capodanno nel cuore della città. Il tutto accompagnato da una cornice di neve artificiale. Non mancherà la musica: il nome non è ancora stato fatto, ma l assessore al Turismo e Commercio del Comune di Ravenna, Andrea Corsini, ha assicurato che sul palco salirà «un gruppo di richiamo». L iniziativa verrà sostenuta dai titolari delle tredici casette di legno del mercatino di Natale e dalle associazioni di categoria. Sembra anche che ci sia stata una buona adesione da parte dei commercianti del centro. Anche a livello turistico, la festa in piazza potrà rappresentare un "plus" nell offerta cittadina. Quella dell assoluta mancanza di eventi e iniziative per dare il benvenuto all anno nuovo era una criticità fatta rilevare da turisti, che spesso si trovavano a brindare nella propria stanza d albergo, e cittadini, che preferivano migrare verso quelle città vicine - come Ferrara, Bologna, ma anche solo Cervia - in cui il ritrovarsi a festeggiare insieme in centro è ormai diventata una piacevole tradizione. «La gente che ci chiama ci chiede sempre se ci sono eventi in occasione del 31 dicembre - spiegano i gestori del B&B Lord Byron -. L anno scorso per quel periodo eravamo comunque al completo, ma si trattava soprattutto di persone che avrebbero festeggiato a casa di amici. In questi giorni hanno cominciato ad arrivare le prime telefonate per le prossime feste». Un altra novità, o, meglio, di un gradito ritorno dopo anni, sarà la musica in filodiffusione. La proposta era stata avanzata anche dai commercianti della Confesercenti in occasione della presentazione, a metà ottobre, dei dati emersi dal questionario sulle criticità del centro storico. «Il programma - spiega Corsini - è ancora in corso di definizione, ci sono alcune questioni che dobbiamo chiudere, ma sarà presentato a breve». All inizio di dicembre, insomma, si scoprirà quali iniziative accompagneranno i mercatini nel centro storico e se, come qualcuno ha proposto, ci saranno incentivi per chi sceglierà di recarvisi con i mezzi pubblici, lasciando fuori dalle mura auto e inquinamento. Si preannuncia ricco, quest anno, il programma delle iniziative per il Capodanno in piazza del Popolo

8 DICEMBRE LUISONA DAY

Ragazzi venite a trovarci nel chiostro S.Maria della Consolazione Via Mortara 98 44100 Ferrara
LUISONA DAY in onore del BAR SPORT di STEFANO BENNI
Intervenite nel pomeriggio.
Saranno presenti alcune luisone d'annata!!!!!

le foto del 19 novembre 2006

Inserite nella galleria fotografica del Rione 2006 alcune foto della Giornata della Storia (d'Este)

Attacco a SAT..

Certo che in questo periodo non ci vanno proprio morbidi con il sindaco. Attacchi da tutte le parti.
C'è chi invoca una nuova cultura, chi aspira ad un'aria più pulita (scusate il gioco di parole), chi non vuole più i rifiuti....etc.etc......
Viene da chiedersi, ma perchè uno sceglie di diventare sindaco?

20 novembre 2006

Perchè il blog di Mandula

Ciao a tutti
ho creato questo blog non in alternativa a quello del rione, ma a completamento dello stesso.
Preferisco alcuni interventi molto personali di farli in questo blog e non quello del rione, proprio per mantenere la plurità delle idee nel blog contradaiolo.
Inoltre su questo ho intenzione di pubblicare le mie riflessioni anche su temi che riguardano principalmente la mia città, Ferrara, e che non necessariamente siano riconducibili alla vita di Rione.
E' naturale che io sia profondamente collegato al SISTEMA CONTRADA, un sistema a cui io credo e partecipo da oltre 37 anni.
Ringrazio chi vorrà affrontare questo viaggio insieme a Mandula